Punto di partenza sarà Piazza S. Pelino a Navelli.
L’attuale paese fu fondato dall’unione in epoca medievale (VIII-X secolo) di sei villaggi: Villa del Plano, Villa della Piceggia (o Piaggia) Grande, Villa della Piceggia (o Piaggia) Piccola, Villa di Santa Lucia, Villa del Colle e Villa di Turri; come traccia dei villaggi originali, nella piana restano alcune chiese medievali, come quella di Santa Maria in Cerulis citata già nel 787 sul Chronicon Vulturnense.
I villaggi originali si riunirono in un unico castello, costruito sul colle dove tuttora si trova il paese, già citato nel 1092 una bolla del Monastero di San Benedetto in Perillis. La fortezza era dotata di una torre che, in epoca rinascimentale, venne trasformata nel campanile della chiesa parrocchiale. Sulle rovine del castello, poi, fu costruito nel 1632 il Palazzo Baronale.
In, realtà, primi insediamenti italici nella zona di Navelli si fanno risalire ai Vestini intorno al VI secolo a.C., quando nella zona sottostante l’attuale paese si trovava il vicus Incerulae; come traccia di queste origini si ha un’iscrizione in dialetto vestino conservata nel Museo Archeologico di Napoli e risalente al III secolo a.C. che cita un tempio italico dedicato a Hercules Iovius nel sito dell’attuale Chiesa di Santa Maria in Cerulis
La visita durerà un paio di ore in cui conoscerete angoli e segreti di uno de “I borghi più belli d’Italia” che altrimenti vi sarebbero preclusi: vedrete forni secolari in pietra, le antiche porte-botteghe con pianale dove l’artigiano mostrava la mercanzia, la chiesa cimitero del Suffragio coi 5 altari dove i ricchi seppellivano i loro morti, il portale in legno della Chiesa di San Sebastiano (capolavoro d’intaglio cinque/seicentesco). Ci soffermeremo a interrogare le pietre e ascoltare tramite “loro” la testimonianza di quanti hanno vissuto e lavorato in questi borghi lasciando il segno discreto del loro passaggio nella roccia. Si raggiungerà l’edificio nobiliare Palazzo Santucci .
Da Palazzo Santucci inizierà la nostra camminata che dopo un paio di kilometri ci porterá a conoscere Civitaretenga
CIVITARETENGA
Borgo medievale coagulato intorno ad una strategica torre di avvistamento (purtroppo gravemente danneggiata dal sisma del 2009), Il nucleo più storico è distinto in due zone, quella del castello e l’altra del cosiddetto ghetto, detto “ru busc”, caratterizzato da brevi e stretti vicoletti, attorno alla piazza Giudea, poi ridenominata Guidea, su cui si affaccia il portone del Palazzo Perelli, che sembra fosse la vecchia sinagoga. Si tratta, infatti, di un ghetto ebraico risalente al periodo tra il XII ed il XV secolo; infatti già da prima del luglio 1400 – quando re Ladislao concesse agli ebrei di poter risiedere a L’Aquila, Sulmona, Lanciano ed altre città d’Abruzzo – la comunità ebraica, attratta dalle potenzialità economiche legate al commercio della lana e dello zafferano, risiedeva in questa porzione del borgo.
L’editto di espulsione dal regno di Napoli, emanato nel 1510, cancellò ogni traccia della loro presenza, sino a mutare le denominazioni della via di spina e della piccola piazzetta centrale che un tempo dovevano chiamarsi “via Giudea” e “piazza Giudea” e che oggi sono denominate “via Guidea” e “piazza Guidea”, molte tracce sono andate perse nei tentativi successivi di eliminarne la presenza, coprendo gli stipiti contraddistinti da simboli giudaici con simboli cristiani, ed in particolare con il simbolo di S. Bernardino da Siena, il cristogramma IHS.
Il castello e ghetto sono racchiusi dalle case mura che identificano il nucleo centrale del paese, da cui si aprono le porte di ingresso al borgo fortificato, alcune delle quali tuttora visibili.
Monastero di S. Antonio (“ostello sul tratturo”)
La Chiesa di Sant’Antonio da Padova dista quasi 500 metri dal borgo di Civitaretenga; la si incontra salendo da Navelli, all’inizio di Viale Umberto I. Annesso alla chiesa sorge l’ammirevole complesso monastico, basso medioevale, con il suo splendido chiostro formato da colonne e piastrini poligonali, con basi e capitelli fra i più fantasiosi e tecnicamente perfetti, opera senz’altro degli scalpellini formatosi alla scuola dei cantieri cistercensi da datarsi non oltre la metà del secolo XIII.
Visita alla casa verde della “fondazione Silvio Salvatore Sarra”
Incontreremo Gina Sarra donna caparbia e coraggiosa che ci narrerà la paziente attività che porta avanti da anni insieme alla cooperativa “Altopiano di Navelli” (che fu fondata da suo fratello Salvatore Silvio Sarra), per salvare la coltivazione dello zafferano e risollevare un’area fortemente segnata dalla crisi e dall’abbandono della popolazione. Sarà proprio lei a illustrarci le diverse fasi di lavorazione dello zafferano.
Chiesa di S. Egidio
S. Egidio è una delle più antiche chiese della zona, di impianto romanico. Era la principale chiesa di Civitaretenga, prima che lo divenisse San Salvatore: a seguito del sisma del 2009 è tuttavia tornata ad essere la principale del centro. L’edificio è impreziosito da affreschi tardo-quattrocenteschi con il Cristo Pantocratore attorniato da angeli che decorano il catino absidale. La bellezza di questi lavori è ulteriormente valorizzata da una cronaca degli eventi tra il 1478 e il 1480, graffita sullo strato pittorico degli affreschi.
Quarta tappa: Chiesa Madonna dell’Arco
La chiesa della Madonna dell’Arco si trova ai piedi di Civitaretenga nella gola dove vi è il passaggio obbligato attraverso il quale, un tempo come oggi, passava la strada principale che collegava l’Aquila a Popoli. Secondo la leggenda, fu costruita nel luogo dove sorgeva la stalla di una taverna. Nella taverna venne a soggiornare un pittore il quale però, non avendo una lira, fu dal taverniere messo a dormire – appunto – nella mangiatoia della stalla.Quella notte al pittore apparve in sogno la Madonna che gli chiese un ritratto; era così bella che l’uomo avrebbe voluto ritrarla immediatamente, ma non aveva colori.
Così usò dello zafferano trovato nella cucina della taverna, e la dipinse sul muro contro cui era poggiata la mangiatoia; così che nacque il culto della Vergine dello Zafferano, immagine miracolosa attorno alla quale gli abitanti del paese eressero la chiesa.
Caporciano
Santa Maria di Centurelli (Caporciano )
La chiesa si trova nella biforcazione del tratturo L’Aquila-Foggia con il tratturo Centurelle-Montesecco, rendendola una struttura strategica nel periodo in cui la transumanza aveva un ruolo fondamentale nell’economia del meridione d’Italia.
La chiesa attuale fu edificata sui resti della chiesa di Santa Maria in Coronula dei Frati della Cintura risalente all’anno mille. Il nome della chiesa subì nel tempo molte variazioni, tra le quali Coronella, Centorella, Scientorella, Scientorelli, Centorellis, Incerulae e Cintorelli. La dicitura corretta attuale è quella di Centurelli.
Chiesa di San Pietro in Valle
Particolarmente suggestiva è l’atmosfera che ci accoglie, derivante dall’aspetto leggermente rupestre, distaccato dall’antico borgo e inserito in una cornice paesaggistica di grande emotività.
È databile alla prima metà del 1200. Era di questo periodo un affresco (staccato e portato al Museo Nazionale D’Abruzzo) rappresentante la Deposizione con la Vergine che custodisce in un’ampolla il sangue di Cristo, le Pie donne, due devoti e S. Benedetto che mostra la regola. In una clima storico di forti contese fra i diversi complessi monastici di Bominaco e di San Benedetto, l’immagine di San Benedetto che mostra la regola può essere interpretata come un‘ affermazione del potere benedettino.
Avvicinandoci al paese ci appare la torre quadrangolare dell’antica recinto fortificato. Dall’antica fortificazione, risalente all’XI secolo, sui resti del castello vennero costruite
BOMINACO
Salendo per la strada provinciale, si giunge a Bominaco, l’antica Momenaco sede,un tempo, di uno dei più ricchi e celebri monasteri benedettini. La tradizione vuole che le origini del luogo, risalgano tra il III e IV, quando San Pellegrino, proveniente dalla Siria, subì il martirio a Bominaco. Carlo Magno (così come attestato in uno pseudo diploma del Chronicon Vulturnense 774-814) seppe della fama raggiunta dal Santo e si interessò per la costruzione di un più grande oratorio sul sacello originario. Si insediarono i primi monaci e nel 1001 il conte Oderisio donò vaste proprietà al monastero.La chiesa di Santa Maria e l’oratorio di San Pellegrino sono le uniche testimonianze del monastero di Momenaco, esistente sin dal X secolo. Il monastero venne infatti distrutto nel 1423 da Braccio di Montone come atto della secolare lotta tra gli abati di Bominaco ed i Vescovi che ne volevano avere il controllo. Le due chiese sorgono vicine su un rilievo collinare nei pressi del paese di Bominaco.
Oratorio di San Pellegrino
A chi varca la soglia del piccolo edificio non resta che incantarsi dinanzi alla ricchezza della decorazione, della luce emanata dalle singole scene che si susseguono in un disordine solo apparente. Gli spazi interni dell’oratorio sono divisi in due da due plutei decorati da un drago e un grifone, che servivano per separare gli spazi dedicati ai fedeli da quelli riservati ai catecumeni. L’interno è interamente ricoperto da uno straordinario ciclo di affreschi, considerato la testimonianza più importante della pittura medioevale abruzzese. La decorazione, su tre registri sovrapposti, si svolge al di sopra di un basamento dipinto a cortina, gli affreschi ricoprono anche tutta la volta che presenta al centro una fascia dipinta a motivi ornamentali geometrici e stilizzati.
I cicli risultano intrecciati tra di loro in una modalità complessa: alcune scene facenti parte di uno stesso gruppo iconografico occupano spazi su pareti opposte, quindi si interrompono su una parete per continuare su quella opposta. Raffigurano storie sull’infanzia di Cristo, scene della Passione, scene del Giudizio Universale, storie di San Pellegrino e di altri santi e una serie scene sui mesi del Calendario. Il ciclo di affreschi viene attribuito stilisticamente a tre distinti autori con personalità diverse anche se nel complesso si denota una certa uniformità di linguaggio che è caratterizzato dal naturalismo gotico sul quale si innestano richiami benedettini e bizantini la cui personale reinterpretazione fanno del ciclo di affreschi di Bominaco una testimonianza preziosa, anticipatrice della stagione pittorica duecentesca, prima della pittura giottesca, che con l’introduzione della tridimensionalità cambierà per sempre l’arte italiana ed europea.
chiesa di Santa Maria Assunta
La costruzione della chiesa abbaziale iniziò probabilmente tra gli ultimissimi anni dell’XI secolo e i primi di quello successivo. L’edificio è maestoso, elegante, severo.
Il monastero si sviluppava sul fianco sinistro della chiesa, come testimonia l’analisi delle strutture murarie, sul quale le quattro finestre che vi si aprono e le due porte che collegavano l’abbaziale direttamente agli ambienti monastici, mancano di qualsiasi decorazione, esattamente all’opposto di ciò che riscontriamo sul fianco destro con le cornici delle finestre riccamente decorate insieme all’archivolto del piccolo portale.
Mirabile per armonia ed eleganza è la zona absidale esterna con tre absidi che si elevano su un’alta zoccolatura e poi si alleggeriscono ancora attraverso un coronamento ad archetti pensili, otto continui per ognuna delle due absidi minori, mentre i nove a doppia ghiera di quella centrale sono tripartiti da due esili semicolonne che salgono trasformandosi in lesene con capitelli a tronco di piramide capovolta, decorati, a loro volta, l’uno con un’aquila ad ali spiegate rappresentata frontalmente e l’altro con una foglia d’acanto che, in alto, accenna a ripiegarsi su se stessa.
All’interno, la navata maggiore larga quasi il doppio delle laterali, è separata da queste mediante due file di robuste colonne che sorreggono archi a tutto sesto, il cui andamento è interrotto da due pilastri a sezione cruciforme che, anticipando la zona presbiteriale rialzata di tre gradini, anche per superare il dislivello del suolo roccioso che, in alcuni punti, emerge prepotente dal pavimento, inquadrano un grande arco a sesto pieno.
Entrando si rimane letteralmente incantati dalla vigorosa eleganza delle forme e il complesso di opere, dall’ambone alla cattedra, dal ciborio al cero pasquale, contribuisce a rendere la chiesa di Bominaco tra le più complete e preziose testimonianze del medioevo abruzzese. Queste opere si andarono ad aggiungere in momenti successivi mentre gli elementi scultorei interni pertinenti alla fase costruttiva dell’edificio sono solo i capitelli.Rigorosamente diversi l’uno dall’altro, coronano tozzi fusti per la maggior parte monolitici e nella quasi totalità di reimpiego: il luogo di provenienza di questi pezzi antichi è difficile da definire, probabilmente la vicina città romana di Peltuinum; nella loro diversità riscontriamo comunque un unico concetto di fondo, la rielaborazione del capitello corinzio, una scelta probabilmente da legare all’adozione della più classica colonna in luogo del pilastro.
Nella seconda metà del XII secolo la chiesa si arricchì grazie all’abate Giovanni di un ambone a cassa quadrilatera, posto a ridosso della quarta colonna sul lato sinistro della navata centrale. Sorretto da quattro colonne, sormontate da capitelli di raffinata fattura che rivelano una più attenta osservazione del tipo corinzio, con abaco incurvato e sottile, arricchiti tra le volute angolari, da uccelli, da un bucranio con orecchie a foglia e da un basilisco. Si appoggia su questi uno spesso architrave decorato da un tralcio abitato nascente dalle fauci di un leone, la cui testa è raffigurata sullo spigolo verso l’ingresso. La cassa ha una decorazione scarna, essenziale. Si è voluto dare, infatti, maggior risalto alla massa intesa in senso puramente architettonico, da cui sbocciano grandi fiori solitari.
All’iniziativa dell’abate Giovanni si deve anche la cattedra abbaziale sulla quale egli si fece raffigurare con il baculo pastorale, simbolo dell’autonomia dell’abate dai vescovi valvensi e il sovrastante ciborio dal grande effetto di eleganza ed armonia. Le colonne architravate sorreggono una copertura composta da un tronco di piramide ottagonale, sostenuta a sua volta da ventiquattro colonnine, sul quale se ne appoggiano altre otto, coronate da una piccola piramide, sempre ottagonale, come lanterna.
A completare questo eccezionale insieme, per qualità e quantità, di elementi che compongono l’arredo liturgico, c’è il raffinato candelabro pasquale, un unicum per tipologia nel panorama abruzzese. Stilisticamente connesso agli esiti artistici dell’Italia Meridionale, in particolare dell’area apulo-campana, è composto da un fiero leone stiloforo che sorregge una “colonna a duplice fusto ritorto a spirale”. Nell’originalissimo capitello che la sovrasta assistiamo ad una rielaborazione del modulo corinzio: dal collarino di base si alzano stilizzate foglioline lanceolate sulle quali, attraverso un delicatissimo lavoro di scalpello, sono ricavati dei fragili e complicati motivi vegetali che, girando tutt’intorno alla campana intervallati in basso da piccoli fiori, si staccano completamente dal fondo, mentre animaletti mostruosi ad uccelli rivolgono le teste, verso le volute angolari. Al di sopra, a chiudere la composizione, una base cilindrica decorata da foglie d’acanto era destinata ad ospitare il cero pasquale.
testo a cura di Francesca Di Egidio